Priorita' pedagocica o biologica nell'allenamento del giovane calciatore? |
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Laurea in Educazione Fisica conseguita presso L'ISEF della Lombardia di Milano, Preparatore Atletico Professionista abilitato FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio), nella stagione 2002/03 Allenatore della Juniores Nazionale dell'FBC Seregno. |
Fabio Perissinotti perisse@libero.it (Italia) |
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http://www.efdeportes.com/ Revista Digital - Buenos Aires - Año 9 - N° 62 - Julio de 2003 |
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Nell'ultimo decennio sono venute alla luce numerose pubblicazioni riguardanti l'allenamento dei giovani calciatori. La caratteristica che accomuna generalmente queste pubblicazioni è rappresentata dal taglio fortemente pedagogico del loro contenuto e dalla scarsa correlazione con le nozioni di biologia inerenti la capacità di adattamento dell'organismo umano in seguito allo svolgimento di attività motoria.
La biologia è una scienza sperimentale, basata su misurazioni quantitative ed oggettive che consentono di effettuare previsioni circa l'andamento del fenomeno osservato. La pedagogia non è una scienza sperimentale, si basa su considerazioni di tipo qualitativo e soggettivo che non consentono di effettuare previsioni attendibili sull'andamento del fenomeno osservato.
Allo stato attuale, pretendere di connotare in termini propriamente biologici l'allenamento sportivo generale, quindi anche quello del giovane calciatore, rappresenta un utopia. Infatti, pur essendo aumentate le nozioni circa l'anatomia e la fisiologia del sistema nervoso, siamo ancora ben lontani dal poterne indagare scientificamente l'intimo funzionamento. Inoltre, il movimento umano è un evento privo di ripetibilità, a causa della storicità del soggetto che lo produce, per cui esso non si presta ad un'indagine secondo i canoni sperimetali della scienza.
Tuttavia, riteniamo sia possibile intendere l'allenamento come una forma di pedagogia caratterizzata da un taglio prettamente biologico e quantitativo, sia pur entro i limiti che le attuali conoscenze permettono. Con ciò, non intediamo togliere valore al significato pedagogico insito nell'attività sportiva, in primo luogo durante la formazione giovanile dell'atleta, bensì crediamo sia corretto delimitare gli ambiti di competenza disciplinare. Da un lato il contesto educativo, quindi la pedagogia e la psicologia cosi da interpretare e guidare la maturazione del giovane quale essere sociale, dall'altro il riferimento prettamente biologico inerente lo sviluppo della motricità dello sportivo.
Viceversa, impostare l'allenamento motorio in ottica strettamente pedagogica significa affidarsi ad un costrutto teorico e metodologico puramente nominalastico ed ascientifico, i risultati del quale sono imprevedibili ed interpretabili solo e comunque in chiave soggettiva e situazionale. Ciò significa attribuire nomi che descrivono le varie componenti dell'allenamento, ai quali, però, non corrisponde un sub-strato organico e fisiologico oggettivo. Ne consegue che, oltre all'impossibilità di effettuare previsioni, la valutazione dei risultati non potrà che essere conforme all'ordine nominalistico utilizzato di volta in volta da soggetti differenti o dal medesimo soggetto.
Trattare in maniera esauriente e divulgativa tutte le peculiarità e le problematiche che cottraddistinguono il contenuto di questo articolo non è possibile. Di seguito, però, verranno esposti due punti fondamentali per spingere il lettore ad una riflessione circa quanto sopra esposto:
I richiami alle teorie dell'apprendimento (comportamentismo, cognitivismo, ecc.), oltre che alle presunte forme di apprendimento (per imitazione, per comprensione, ecc.) ed i modelli metodologici e di strutturazione della seduta che derivano da tale approccio, rappresentano l'apice della pedagogizzazione dell'allenamento sportivo. L'articolata strutturazione della seduta di allenamento in obiettivi primari e secondari ed in fasi a carattere analitico e globale (p.e. S. Bonaccorso, 1999), altro non rappresenta che il mondo psichico dell'allenatore, senza alcun riferimento alla realtà biologica del giovane sportivo, costituita, invece, dall'interazione energetica del suo organismo con l'ambiente esterno, la quale si evidenzia tramite un comportamento motorio.
La suddivisione dell'allenamento in componente condizionale e componente tecnico-coordinativa ha avuto origine circa mezzo secolo fa nell'ex Unione Sovietica e rappresenta anch'essa un tentativo di pedagogizzazione dell'allenamento.
Infatti, in questo paese, a causa di motivazioni ideologico-politiche che per ragioni di spazio non possiamo specificare in questa sede, la teoria dell'allenamento sportivo fu improntata come una branca della pedagogia e costituita su basi ascientifiche secondo due dogmi essenziali rappresentati da:
la possibilità di modificare il patrimonio genetico dell'organismo tramite stimoli ambientali come sostenuto dallo pseudo-genetista T.D. Lysenko;
l'interpretazione dell'adattamento agli stimoli secondo un modello riflesso di stimolo-risposta, derivato dalla dogmatizzazione degli studi di I. Pavlov.
Più specificatamente, la suddivisione dell'atto motorio in componente condizionale e componente tecnico-coordinativa è frutto della trasposizione del pensiero pavloviano che distingueva i riflessi di primo ordine (componente fisica, periferica) dai riflessi di secondo ordine (componente astratta, centrale). Tramite il riflesso di primo ordine l'organismo si metterebbe in relazione concreta con l'ambiente esterno, mentre tramite quello di secondo ordine, nelle regioni più elevate del sistema nervoso, verrebbe a costituirsi il "programma" di risposta necessario all'organismo per rispondere alle richieste ambientali.
Senza entrare nel merito di ulteriori particolari riguardo tale concezione meccanicistica e dicotomica della fisiologia organica, risulta subito evidente il paradosso nominalistico che tale trasposizione comporta nell'ambito dell'allenamento sportivo. Infatti, la medesima esercitazione viene definita ora condizionale ora tecnico-coordinativa a seconda della disciplina sportiva presa in esame e non in base ad un riferimento fisso di ordine biologico.
A conferma di quanto sopra esposto, ricordiamo che il fisiologo sovietico N.A. Bernshtejn nel 1950 fu radiato dall'attività accademica, in quanto si rifiutò di accettare le imposizioni governative di stampo ascientifico. Bernhstejn, infatti, tramite una serie di studi sperimentali, era giunto alla conclusione che l'attività motoria rappresentava un fenomeno globale e come tale doveva essere studiato. Egli si accorse che anche un movimento stereotipato come battere con un martello, non avveniva in maniera identica da ripetizione a ripetizione. Conseguentemente, l'apprendimento motorio non poteva essere interpretato come un fenomeno di stimolo-risposta secondo l'acquisizione di rigidi programmi motori. Si trattava, invece, di fenomeno mediato da correzioni sensoriali che di volta in volta permettevano il raggiungimento dell'obiettivo facendo corrispondere una sorta di "modello di rappresentazione anticipata del movimento" con le contingenze ambientali momentane. Potremmo dire perciò che, secondo Bernshtejn, l'apprendimento consiste nello sviluppo di una "mappa motoria dinamica" che migliora le capacità di correzione sensoriale. Di tale importante conclusione occorre tener conto quando in ambito calcistico giovanile si scompone la prestazione in sottoinsiemi del tipo controllare, calciare, ricevere la palla e via dicendo. Il tutto, come se il giovane potesse acquisire degli schemi motori denominati "tecnica di base", che verranno poi utilizzati in situazione durante la partita e la cui somma andrà a costituire la prestazione globale calcistica. Come abbiamo visto, l'atto motorio non è mai uguale a se stesso, la mappa motoria dinamica è infatti situazionale. Anche in questo caso, perciò, risulta chiaro come tutte le classificazioni e suddivisioni tecnico-tattiche rappresentino una prova di nominalismo che si concretizza in una serie di sottoinsiemi il cui numero può variare all'infinito a seconda della fantasia e della capacità di analisi dell'allenatore.
Concludendo questo breve intervento, ci rendiamo conto che quanto fin qui affermato sia difficile da comprendere e soprattutto da accettare da molti e validi operatori del settore. Esistono però buoni motivi per far si che le cose cambino, tra i quali vogliamo ricordare:
Le evidenze di stampo storico, culturale e scientifico emerse negli anni ed ormai ampiamente documentate;
L'utilizzo sistematico del doping a conferma che il costrutto teorico vigente non è la reale causa del raggiungimento di prestazioni di rilievo;
I pareri espressi da importanti studiosi, tra i quali P. Tschiene e S. Zanon, i quali hanno più volte evidenziato l'inadeguatezza dell'approccio pedagogico all'allenamento.
Nota: I riferimenti alla teoria dell'allenamento sovietica, modellata su imposizioni di tipo ideologico-politiche ed ascientifiche non rappresentano nella maniera più assoluta l'orientamento politico dell'Autore, bensì sono una semplice descrizione storica e documetata dei fatti. Questo articolo non ha nessuna intenzione di esprimere pareri politici.
Riferimenti bibliografici di base
AA.VV., Ritorno alla prassi, Calzetti e Mariucci Editori, Perugia, 2002.
Bernshtejn N.A., Fisiologia del movimento, Società Stampa Sportiva, Roma, 1989.
Bonaccorso S., Calcio, allenare il settore giovanile, Ed. Correre, Milano, 1999.
Ocana F.G., Esercitazioni sociometriche per il calcio ed il calcio a 5, Calzetti e Mariucci Editori, Perugia, 1997.
Tschiene P., La teoria dell'allenamento: con o senza una priorità, SdS, 25: 59-63, 1991.
Tschiene P., Il nuovo orientamento delle strutture dell'allenamento, in: "Prima di Sydney, serve per dopo" , Seminario di studio preolimpico destinato ai DT delle FSN, Scuola dello Sport, Roma, 2000.
Zanon S., La dottrina legale dell'allenamento sportivo, introduzione al doping?, Atletica Leggera, 453:52-55, 1999.
Zanon S., La nuova teoria dell'allenamento per lo sport competitivo, Nuova Atletica, 429:49-51, 1997.
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digital · Año 9 · N° 62 | Buenos Aires, Julio 2003 |