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Il calcio in Iran, un indicatore delle tensioni sociali e culturali

El fútbol en Irán, un indicador de las tensiones sociales y culturales

 

Professore di etnologia all'Università della Provenza dove dirige

il Laboratorio di Etnologia Mediterranea e Comparativa

(Francia)

Cristian Bromberger

brombergercristian@gmail.com

 

 

 

 

Abstract

          La passione per il calcio è parte di un processo di modernizzazione della società iraniana dove valori come l'individualismo, la concorrenza, l'ascesa sociale meritocratica, la spettacolarizzazione si fanno poco a poco strada. Nelle tribune come sul campo si gioca una partita che si disputa tra le tensioni dei modelli tradizionali e le aspirazioni degli standard mondiali.

          Parole chiave: Calcio. Iran. Modelli tradizionali. Standard mondiali.

 

          Traduzione: Domenico Branca, italiano, graduado en Antropología Cultural y Etnología en la Universidad de Sassari, Cerdeña, Italia. Está en publicación su primer artículo científico, "Serás eterno como el tiempo y florecerás en cada primavera": La squadra di calcio come fenomeno identitario", ANUAC, 2012 (en publicación),

 

 
EFDeportes.com, Revista Digital. Buenos Aires - Año 17 - Nº 168 - Mayo de 2012. http://www.efdeportes.com/

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En Español

    Durante gli ultimi quarant'anni, il percorso della nazionale iraniana sembra riflettere lo sviluppo politico del paese, dopo aver oscillato tra la reintegrazione nell'ordine mondiale e il rifiuto delle norme internazionali. Durante gli anni '70 l'Iran si affermò come la grande potenza regionale nella relazione con gli Stati occidentali; la sua nazionale di calcio vince tre volte la Coppa delle nazioni asiatiche e partecipa per la prima volta alla Coppa del Mondo del 1978. Durante i quindici anni che seguirono alla rivoluzione islamica del 1979, anni caratterizzati dalla lunga guerra contro l'Iraq, la tensione e il rifiuto per la politica dell'ordine internazionale dominano la scena politica e sportiva. In seguito, sotto i due mandati (1997-2005) del presidente riformista Jatami, si profila un'apertura al mondo, apertura in linea con le aspirazioni della società civile: l'Iran partecipa a diverse competizioni internazionali e si qualifica per due volte ai mondiali: nel 1998 e nel 2006. Vengono messi sotto contratto vari allenatori stranieri (il brasiliano Vieira, i croati Ivic, Blazevic, Ivanovic) per allenare, con alterne fortune, la nazionale; diversi giocatori (Da’i, Bagheri, Azizi, Karimi, Mahdavikia, Hashmian…) vengono acquistati da club europei, per giocare nella prestigiosa Bundesliga. Inoltre, i giocatori iraniani prestano i loro servizi negli Emirati Arabi Uniti o a Singapore, motivo per cui sono conosciuti internazionalmente.

    Nel 2005, l'elezione alla presidenza della Repubblica del populista e radicale Mahmoud Ahmadinejad inaugura una politica del rifiuto verso questa apertura, che si traduce in un maggior controllo governativo sulle federazioni sportive. In questo senso, nell'ottobre del 2005, la Federazione calcistica impone ai giocatori di rispettare i “valori islamici”, non indossare vestiti attillati, non portare orecchini, collane, avere i capelli ordinati: barbe irregolari, code di cavallo, capelli lunghi, ricci, tutto ciò che ricorda il look occidentale è proibito. Ma c'è qualcosa di ancora più significativo: dopo la deludente prestazione della nazionale di calcio al Mondiale tedesco (sconfitte con Messico e Portogallo, pareggio con l'Angola), il presidente della federazione viene esonerato dalle sue funzioni per opera del governo.

    Questa misura che simbolizza la lealtà dello sport al potere politico (il fratello del presidente della Repubblica giocò un ruolo attivo in questa dimissione forzata), suscitò le proteste della FIFA che sospese temporaneamente la federazione iraniana di calcio nel novembre del 2006, fino a quando si trovò una soluzione che si accordasse con gli statuti della federazione internazionale nel dicembre del 2006.

Fra tradizione e modernità

    Tuttavia, al di là di queste vicissitudini, l'entusiamo degli iraniani per il calcio è un eccellente indicatore delle contraddizioni che travolgono la società attuale, delle tensioni fra tradizione e modernità, dei dibattiti sul ruolo della donna nello spazio pubblico, sulla decenza e il debordare tollerabile delle emozioni.

    La diffusione sempre più massiccia del calcio, la crescita esponenziale della stampa sportiva e la sua capacità di raccontare , riflettono un cambio profondo nei riferimenti simbolici della società iraniana. Lo sport nazionale iraniano è la lotta, collegata alla pratica abituale del zurkhâne (letteralmente: la casa della forza) nella quale si partecipa in un contesto di socialità amichevole, attraverso vari esercizi atletici.

    L'immagine del lottatore è duplice: è, a volte, quello dal "gran braccio" (dal "collo grande", dicono in persiano) dei mezzi di comunicazione popolari tradizionali; è anche quella del pahlavân, l'atleta, l'eroe della cavalleria (la javânmard), affiatato, dedicato, generoso.

    L'immagine del giocatore di calcio, al contrario, è quella del campione (ghahremân) moderno e del futuro, che sogna di giocare nel Manchester o nel Milan. Le due immagini non sono necessariamente antagoniste (molti iraniani anziani rivendicano questa doppia devozione), ma sono necessariamente concorrenti e senza dubbio la seconda sta eclissando progressivamente la prima. Il predominio del calciatore sul lottatore simbolizza, senza dubbio, i recenti avvenimenti in Iran. L'immagine di questo nuovo eroe compete dunque con la figura centrale nel mondo iraniano, quella del martire, esaltato dal ricordo comunque vicino dei 400.000 morti della guerra con l'Iraq.

Limitazioni e proibizioni contro le donne

    In un paese dove le autorità sono ossessionate dall'occultamento del corpo femminile e dalla divisione sessuale degli spazi, le pratiche e gli spettacoli sportivi sono questioni chiave.

    Le discipline alle quali si possono dedicare le donne sotto lo sguardo degli uomini sono: il tiro con l'arco, l'equitazione, la canoa, l'alpinismo, lo sci, il taekwondo...e l'aiuto ai disabili; sono tutte pratiche che, a differenza dell'atletica, del nuoto etc., rispettano, bene o male, gli standard di abbigliamento islamico. La pratica femminile del calcio – uno sport sinonimo di apertura internazionale, che coinvolge particolarmente giovani donne delle classi urbane – è comunque oggetto di controversie e recentemente, nel 2003, fu creata una squadra nazionale femminile, formata dalle migliori giocatrici della nazionale di calcio a cinque che già esisteva. Quando giocano, le atlete sono completamente coperte, anche col caldo dell'estate. Devono usare un velo che impedisca che si vedano i capelli, pantaloni lunghi ben fissati ai calzettoni, una tunica che copra il corpo fino alla parte inferiore delle cosce.

    Il problema con l'uniforme regolamentare è grave quando la squadra deve partecipare ad una competizione fuori dalle frontiere del paese e alla quale può assistere un pubblico misto. Nel 2007, la squadra doveva viaggiare a Berlino per disputare una partita con una squadra che aveva giocato a Teheran. In extremis il trasferimento fu sospeso dalle autorità per un presunto “problema tecnico”.1

    L'uniforme delle giocatrici, obbligate a portare il hejâb, è stata al centro di una recente polemica con la FIFA che proibì la partecipazione delle giocatrici iraniane minori di 15 anni ai GOG (Giochi Olimpici della Gioventù) di Singapore dell'agosto 2010. Un articolo del regolamento della federazione internazionale stabilisce, in effetti, che “l'equipaggiamento basilare (del giocatore) non può includere nessun segno di natura politica, religiosa o personale”. Si trovò un compromesso tra i presidenti di FIFA e ferazione iraniana. “Le giocatrici, precisa il comunicato, possono portare il velo sui capelli, ma questo non deve coprire le orecchie né la nuca. “La FIFA si è abbassata i pantaloni”, commentarono le femministe.

    Se la pratica del calcio femminile è subordinata a condizioni restrittive, la presenza delle donne negli stadi dove si giocano le partite maschili è proibita, anche se si trasmettono ampiamente gli incontri in televisione. L'opposizione a questa proibizione è divenuta un leitmotiv delle rivendicazioni femminili e in ogni partita importante le donne tentano di entrare allo stadio. Il punto di partenza di questo reclamo conflittuale ebbe luogo in occasione del ritorno della selezione nazionale dopo la vittoria in Australia e la classificazione ai Mondiali del 1998: diverse migliaia di donne (soprattutto giovani) invasero lo stadio di Teheran, dove si acclamavano gli eroi, mentre i mezzi di comunicazione invitavano le “care sorelle” a rimanersene a casa per assistere all'evento in televisione, la quale non diffuse alcuna immagine di queste ribelli. “Non facciamo forse parte di questa nazione? Anche noi vogliamo essere parte dei festeggiamenti; non siamo scarafaggi”, dicevano le indisciplinate. Il problema delle donne allo stadio tornava attuale durante la maggior parte delle partite internazionali, in particolare in quelle alle quali assistevano donne... straniere. Così, nel novembre del 2001, durante la partita Iran-Irlanda, valida per la qualificazione ai Mondiali del 2002, le irlandesi furono ammesse allo stadio, dopo numerosi ripensamenti e decisioni contraddittorie delle autorità, mentre ancora una volta alle donne iraniane fu proibito l'accesso allo spettacolo. Nel gennaio del 2003 si annuncia che, sotto la pressione dei riformisti, sarebbe stata eliminata la proibizione e che alcuni posti specifici sarebbero stati riservati alle donne, ma prevalse la posizione conservatrice e le tifose si videro obbligate a tornare indietro nelle vicinanze delle biglietterie. Nell'autunno del 2004, 11 di loro tentarono di assistere all'amichevole Iran-Germania, ma furono respinte, e allo stesso tempo si permise alle tedesche di entrare allo stadio. “In cosa siamo diverse da loro?” protestavano le ribelli. La situazione sembrava migliorare nel costesto pre-elettorale della primavera del 2005: un ristretto gruppo di donne fu ammesso ad assistere alla decisiva partita di ritorno per il cammino Mondiale che registrò il trionfo dell'Iran sul Giappone il 25 marzo; in aprile una quindicina di donne appartenenti alla Federazione (giocatrici, arbitri, allenatrici) poterono entrare allo stadio di Ispahan per vedere la partita di una squadra locale contro una formazione siriana. Ma in occasione della partita di qualificazione contro la Corea del Nord, nel giugno del 2005, sembrava che si stesse facendo un passo decisivo. Una quantità significativa di giocatrici di calcio poté assistere alla partita sotto un grande controllo di polizia; vennero sistemate, chiaro, tra due fila di simpatizzanti coreane per evitare qualunque tipo di contatto con gli iraniani. Durante la campagna elettorale, Rafsandjani, il candidato “liberale” che voleva mostrarsi vicino ai giovani e alle donne, si espresse in maniera favorevole all'eliminazione della proibizione, ma il suo avversario, il conservatore e populista Ahmadinejad, che vinse e fu eletto presidente, adottò un punto di vista opposto. Le quasi 150 donne che tentarono, il 1° marzo del 2006, di assistere ad una partita amichevole contro la Costa Rica, agitando una bandiera con la scritta: “vogliamo sostenere la nostra nazionale”, furono energicamente represse. Furono portate avanti varie iniziative per eliminare questa proibizione, come il progetto, per esempio, di riservare alle donne tribune speciali. Questa idea fu ripresa anche da Ahmadinejad (per opportunismo?) nell'aprile del 2006. Ma si ebbe immediatamente una dichiarazione sui pricipi. Il grande ayatollah Lankarani promulgò una fatvâ ricordando la legittimità di questo divieto e l'ala conservatrice rinnegò all'unanimità il progetto. “Così come è peccato per gli uomini vedere donne nude, allo stesso modo è, da un punto di vista islamico, un peccato per le donne vedere le gambe nude degli uomini”, dichiarò nel 2006 un deputato del Parlamento che si opponeva a questa modifica, così come il Consiglio dei Guardiani, responsabile della vigilanza per il rispetto delle misure previste dalla Legge Islamica. La presenza delle donne negli stadi divenne quindi una questione politica importante, che ha ispirato anche i cineasti. In Offside che vinse “L'Orso d'Argento” al festival di Berlino nel febbraio 2006, ma la cui diffusione è proibita in Iran, Jafar Panahi, il quale è recentemente stato condannato a sei anni di prigione e a 20 di diffida dal viaggiare e uscire dall'Iran, racconta la storia di una giovane che si traveste da ragazzo per entrare allo stadio Azadi (il grande stadio da 100.000 posti ubicato nell'ovest di Teheran).

L'ossessione per la disciplina

    Il pregiudizio per gli stadi e il desiderio di proteggere le donne sono parte non solo dell'ossessione per la disciplina, per l'ordine morale, per il decoro pedante, ma anche per il sospetto nei confronti delle riunioni pubbliche e per l'esplosione della libertà d'espressione. Gli stadi, che sono stati lo scenario della maggiore quantità di manifestazioni represse durante gli ultimi vent'anni, sono strettamente vigilati. Coscienti dei rischi che pesano sulla riunione di una moltitudine anonima, le autorità hanno organizzato lo controffensiva. Durante gli anni '90, i grandi stadi erano decorati con striscioni e scritte che denunciavano gli USA e invocavano la distruzione di Israele. Attualmente, almeno a partire dagli incontri importanti a cui assistetti nel 2006-2008, un animatore invita gli spettatori a cantare: “Morte al Nordamerica”, per essere imbevuti della condotta di un martire (del quale si esibisce il busto lungo le linee laterali) e partecipare all'orazione che inaugura la partita.

    Ma questi inviti non vengono seguiti dai tifosi che appoggiano la propria squadra più che il governo. Questo stato di polizia non impedisce le manifestazioni di opposizione al regime. Per esempio, il 27 luglio del 2010, durante la partita tra Persepolis, uno dei grandi club di Teheran, e il Traktosazi Tabriz (la fabbrica di trattori Tabriz), scoppiò una violenta rivolta nello stadio più grande della capitale. Il regime lo presentò come scontro tra le tifoserie dei due club, che disonora lo sport e i giocatori”, ma di fatto, circa 35.000 tifosi di entrambi i club, si unirono per affrontare i bassidjis (milizia di volontari) e la polizia per tre ore, utilizzando tutto quello che avevano in mano.
Ma non è solo l'opposizione al regime che genera vigilanza e repressione. Anche le manifestazioni di allegria per le strade in seguito alle vittorie appaiono come minacce alla decenza, la quale richiede, negli spazi pubblici, un look serio e sobrio. Suonare il clacson a tutto volume, ballare nelle strade, vengono considerate trasgressioni intollerabili alle norme imposte. Le autorità conservatrici si offendono sempre per la volgarità degli spettatori, e d'altra parte, considerano lo stadio come uno dei pochi luoghi dove si possono dire parolacce (fohsh). Esiste, in effetti, un singolare contrasto tra gli slogan dei tifosi (per esempio Shir-e samâvar dar kun-e dâvar: “Il rubinetto del samovar2 nel culo dell'arbitro”) e le scritte che appaiono nei bordi delle tribune affermando che l'orazione è la chiave del paradiso e che negli stadi dobbiamo ispirarci all'esempio di Ali (il primo imam degli sciiti) e alla sua famiglia. In questo e in altri sensi, lo stadio è un luogo scomodo per le autorità, attaccate tanto meticolosamente ad un'etica puritana. In questo paese di contrasti sociali, politici, etnici, così fortementi marcati, una sola parola provoca consenso: “Iran”, la “patria amata”, oggetto di un fervore sciovinista e di un nazionalismo esacerbato che il tim-e melli (selezione nazionale) deve onorare. Non è possibile comprendere l'Iran e il suo calcio se non si tiene conto di questo nazionalismo esacerbato, di questo orgoglio nazionale, radicato nella coscienza collettiva di una storia millenaria, orgoglio che unisce tutti gli iraniani, indipendentemente dall'ideologia politica, o dal fatto che vivano in Iran o in esilio.

    In conclusione, la passione per il calcio è parte di un processo di modernizzazione della società iraniana dove valori come l'individualismo, la concorrenza, l'ascesa sociale meritocratica, la spettacolarizzazione si fanno poco a poco strada. Nelle tribune come sul campo si gioca una partita che si disputa tra le tensioni dei modelli tradizionali e le aspirazioni degli standard mondiali.

Note

  1. Per la partita tra la nazione femminile iraniana e il Berlin Sports Club Al-Deersimspor e.v. nello Stadio Ararat di Teheran nel 2006, si veda Assman, Corina e Gülker, Silke, «Football Under Cover in Tehran’s Ararat Stadium». In Frank, Sybille et Steets, Silke, Stadium Worlds. Abingdon et New York: Routledge, p. 213-226, 2010.

  2. Contenitore metallico utilizzato tradizionalmente in Russia, nei Paesi Slavi, in Iran e Turchia per scaldare l'acqua (N. d. T.).

Riferimenti

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